Il Paese più felice del mondo

di Cristina Ruberto


Esiste un paese dove la televisione è arrivata solo nel 1999, il cellulare è un bene di pochi e la felicità interna lorda è più importante del Pil: il Bhutan, una piccola perla incastonata tra l’India e la Cina.

Prima del 1974 nessun turista aveva mai messo piede in Bhutan, oggi è ancora meta di pochi a causa dell’onerosa tassa giornaliera che gli stranieri devono versare e che è comprensiva di pernottamento, pasti, guida locale, trasporti interni e tasse ( circa 200/250 $ al giorno). Io posso annoverarmi tra quei fortunati.

Era il 2013. Partimmo in quattro alla volta dell’India e, dopo cinque ore di viaggio su una improbabile jeep attraverso altrettanto improbabili “superstrade” indiane, giungemmo al confine con il Bhutan. Il tragitto in auto fu una vera avventura: un polverone che non si vedeva nulla, corsie improvvisate, sorpassi selvaggi, zero regole stradali, nessuna area di sosta, le impellenze scaricate a bordo strada....il trapasso in Bhutan fu una benedizione.

Ci fu assegnata una giovane guida, un ragazzo elegantissimo, con un inglese per noi italiani faticosamente comprensibile. I Bhutanesi vestono i loro coloratissimi abiti tipici, sono estremamente riservati, pur non negando mai il sorriso, si nutrono dei loro piatti tipici (riso bianco o rosa, verdura, più raramente carne)...i prodotti occidentali non esistono, il governo stesso opera in modo da proteggere il più possibile l’identità e la tradizione del paese. Gli hotels sono accoglienti e potrebbero essere accostati ai nostri 3 stelle, anche se per i Bhutanesi sono il massimo del lusso.

Può capitare che manchi la luce o l’acqua, ma tutti sono sempre pronti ad agevolare la situazione: donnine instancabili ci hanno portato secchi di acqua dal fiume, candele e quanto fosse necessario.
Se scegliete di recarvi in Bhutan fatelo in concomitanza dei loro Festivals nazionali, è davvero una rara occasione per immergersi nei loro colori, nel Buddismo, nelle tradizioni: ho un ricordo emozionante dello srotolamento di un tanka gigante a Paro; era una cerimonia notturna, dove centinaia di monaci a lume di candela attendevano lo scioglimento di questo enorme drappo decorato che copriva una intera facciata di palazzo; il tanka di Paro viene srotolato soltanto una volta all’anno.

I percorsi in auto sono piuttosto lunghi, alcune zone del paese sono collegate solo da strade sterrate. Mi colpisce la quantità di falli disegnati sopra i muri delle tipiche case: il fallo, come in molte altre tradizioni, è un simbolo di buon augurio. Altrettanto mi colpisce l’abitudine dei bhutanesi di masticare le noci di areca, una bacca che tinge tutti i denti di rosso e che è, sostanzialmente tossica, ma di uso comune, come comune è sputarne rumorosamente in terra i frammenti, tanto che molte strade sono un puzzle di schizzi carminio.

Il Tempio della Tigre potrebbe essere anche l’unica ragione per visitare il Bhutan, una esperienza raramente emozionante, difficilmente raccontabile: la tigre non c’è più, ma si può ammirare la sua tana incastonata, insieme alla costruzione dell’uomo, all’interno della montagna. Ci sono ancora monaci che si dedicano a meditazioni estreme, una delle quali prevede la sosta di un mese all’interno di una cavità, di circa sei metri di profondità, scavata dentro la roccia.

La capitale Thimphu è decisamente spoglia, ma svetta in tutto il suo splendore il Palazzo Reale. La famiglia reale non vive all’interno del Palazzo, ma in una piccola villetta adiacente, poco più di una nostra villetta a schiera e la regina, la mattina, accompagnava autonomamente i propri figli a scuola. I Reali in Bhutan sono amatissimi, non c’è un luogo dove non venga esposta una loro immagine ed è facilmente comprensibile il perchè: non esiste quasi differenza di classe ed il benessere e la felicità del popolo sono messi al primo piano, tanto che le parole “furto”, “omicidio”, “suicidio”, “reato” sono pressochè sconosciute.

La storia d’amore dei Reali bhutanesi farebbe invidia anche al più nauseante dei romanzi Liala: il principe si innamora di lei, una semplice borghese e, non solo, si adopera per renderla sua moglie, ma rinuncia anche al diritto di poligamia ancora in uso in bhutan...perdipiù sono così belli, eleganti ed intelligenti da far capitolare qualsiasi inguaribile romantico.

E’ impossibile non rimanere colpiti da un Paese così e non gioire del fatto che sia ancora una meta di pochi...tutto sembra essere fatto per non sporcare la verginità di un popolo. Un Paese dove esiste un Ministero della felicità.

E’ un viaggio particolare, non vale la regola “pago tanto voglio avere tutto” o, meglio, dipende quale accezione si vuole dare al “tutto”, certamente non è l’accezione occidentale.

Non è necessario essere ricchi per visitare il Bhutan, è una questione di priorità. Impagabile trovarsi in un angolo di mondo dove non esiste la coca cola.

Libro consigliato:
“A cosa servono i desideri” di Fabio Volo 

Musica consigliata:
“L’isola che non c’è” - Edoardo Bennato